La mostra intende organizzare un itinerario all’interno dell’ampio scenario della scultura italiana, proponendo alcuni dei protagonisti salienti che ne hanno caratterizzato lo sviluppo, con particolare riferimento all’indagine sull’uomo, più che sulla figurazione.
Si tratta di un progetto che, a partire da Marino Marini (come eco di una svolta fondativa di un nuovo linguaggio segnato da Arturo Martini, L’amplesso) fino a Mimmo Paladino e ai più recenti autori, vuole mettere in relazione la scultura con il rinnovato spazio de La Mole, dove l’allestimento dell’architetto Andrea Mangialardo cerca di creare dei piccoli cortocircuiti visivi e di relazione fra le opere, installate non per periodo storico ma affinità di soggetto.
Ne risulta un viaggio fra differenti stili, materiali e visioni che chiedono al visitatore di concentrarsi non tanto sul singolo autore o sulla situazione culturale ma di cogliere il senso dell’essere umano nel tempo presente. Che siano le pietre di Fausto Melotti (La disputa dei sette savi di Atene), per la prima volta esposti al di fuori della città di Milano dove sono stati concepiti e collocati, o la classicità di Francesco Messina (Ritratto di Alfonso Gatto, Nudo), fino agli interventi dei più giovani fra cui Velasco Vitali, Paolo Schmidlin, Pietro Ruffo, Donato Piccolo, Fabio Viale e Massimo Pelletti quello che emerge è il senso di una presenza nel mondo, ma persino una sua assenza. Nelle due importanti installazioni di Gino Marotta (Mare Artificiale e Pioggia Artificiale) è infatti il pubblico che diventa protagonista di una esperienza emotiva, che si prolunga nella metamorfosi di Apollo e Dafne di Alik Cavalieri, per la prima volta presentata dopo il restauro.
Sono tante le curiosità che caratterizzano la mostra, come il recupero di alcune sculture e autori che qui tornano a ritrovare un centro critico nel panorama dell’arte italiana ed europea, tra cui Augusto Perez (Ermafrodita, Testa d’uomo) o i due piccoli bronzi di Marino Marini, resi disponibili per la prima volta dai collezionisti dopo le importanti mostre degli anni sessanta. Anche l’anconetano Valeriano Trubbiani si ripresenta con due delle sue installazioni più intense e poco visibili (Le morte stagioni e Ractus ractus) qui ricollocate, ma ci sono anche le ceramiche di Giosetta Fioroni, Aldo Mondino, Luigi Ontani che raccontano – insieme a quelle di Lucio Fontana, Aligi Sassu e Agenore Fabbri – della centralità di questo materiale nel sistema linguistico delle arti. Alcune opere della collezione della Fondazione Domus, completano la visita con capolavori come Geremia e Profeta di Mirko Basaldella, la Tebe distesa nell’ovale di Giacomo Manzù o il grande quadro scultura dedicato a Van Gogh di Enzo Cucchi, Van Gogh respira.
Materiali vari, 1988 /140x300x300 cm
TESTO CRITICO DELL’OPERA
Enrico Baj realizza la Scacchiera alla fine degli anni Ottanta racchiudendo in essa la sua preziosa eredità di Artista-Intellettuale inquieto che ha costantemente intrecciato l’attività creativa con la riflessione sull’arte. Incastonata tra alfieri, regine e cavalli tutti realizzati con passamaneria, bottoni, stemmi, brandelli di stoffa e altri “materiali di scarto” c’è la critica alla contemporaneità, alla robotizzazione dell’uomo, alla spettacolarizzazione e all’uso indiscriminato delle tecnologie. Alla crescita esponenziale della popolazione e alla folla anonima Baj contrappone i pezzi della sua scacchiera tutti diversi e multicolori invece della tradizionale distinzione in bianchi e neri. (Annaclara Di Biase)
BIOGRAFIA
Nato a Milano il 31 ottobre 1924, Enrico Baj è protagonista delle Avanguardie degli anni Cinquanta e Sessanta accanto a Fontana, Jorn, Manzoni, Klein. Baj ha stretto rapporti con Max Ernst, Marcel Duchamp, E. L. T. Mesens, e altri artisti del gruppo CoBra, con il Nouveau Réalisme, il Surrealismo e la Patafisica. L’avvicinamento di arte e letteratura ha sempre costituito per Baj fonte di inesauribile ispirazione. Gli stretti rapporti con poeti e letterati italiani e stranieri sono testimoniati da una serie di cinquanta libri d’artista, corredati da stampe e multipli, che vanno dalle opere di poeti dell’antichità classica come Lucrezio, Marziale, Tacito ed autori contemporanei tra i quali: Lewis Carrol, John Milton, André Breton, Edoardo Sanguineti, Roberto Sanesi, Umberto Eco, Alda Merini. Verso la metà degli anni ’50 collabora alle riviste “Il Gesto” e “Phases”. Baj ha sempre affiancato la scrittura alla pittura. Ha pubblicato numerosi libri tra i quali “Patafisica”, “Automitobiografia”, ”Impariamo la pittura”, “Fantasia e realtà” con Guttuso, “Ecologia dell’arte”. Ha collaborato, soprattutto nel corso degli anni Ottanta, con importanti giornali e riviste come “Il sole 24 ore” e il “Corriere della sera”. Ha esposto nei maggiori musei e gallerie del mondo. Enrico Baj muore a Vergiate (Varese) il 16 giugno 2003.